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NON volevo fare

l’astronauta

Indice dei contenuti:

  • Da piccolo NON volevo fare l’astronauta
  • La felicità era nelle piccole cose. Piccole e brutte.
  • Mi hanno preso a calci nel sedere
  • Ho rapito la mia relatrice di tesi

NON volevo fare

l’astronauta

Indice dei contenuti:

  • Da piccolo NON volevo fare l’astronauta
  • La felicità è nelle piccole cose. Piccole e brutte.
  • Mi hanno preso a calci nel sedere
  • Ho rapito la mia relatrice di tesi

Da piccolo NON volevo fare l’astronauta

Non volevo fare l’astronauta e non volevo fare il calciatore. Non volevo diventare medico e neanche scienziato. Da piccolo volevo solo disegnare. Disegnare e suonare la chitarra ma a 5 anni ho capito che la musica non faceva per me.

Ma prima di parlare dei miei fallimenti, facciamo un passo indietro e iniziamo con le presentazioni.

Sono Antonio, sono un Visual Designer e sono nato nel 1991, l’anno in cui il mondo ha visto i più bei giocattoli di sempre, le serie tv più diseducative, i cartoni animati più assurdi e i jeans.
Tutto era fatto di jeans: camicie di jeans, giubbotti di jeans, salopette, gonne, borse, cinture, cappelli. Tutto era di jeans.

Ero un bambino bellissimo, dolcissimo, polemico e solitario.
I miei lavoravano molto e sono stato cresciuto da una nonna (non la mia, l’avevo rubata a mia cugina che orami era cresciuta e non ne aveva più bisogno) e da 4 o 5 babysitter fino al raggiungimento della maggiore età, che all’epoca si raggiungeva più o meno a 10 anni con la fine delle scuole elementari e l’inizio delle scuole medie.

Fino a quel momento non ho fatto altro che giocare, distruggere le chitarre che i miei mi regalavano, guardare cartoni animati diseducativi, serie tv sbagliate e disegnare male. Divenuto maggiorenne, a 10 anni appunto, sono stato costretto a rivedere le mie priorità e fu così che smisi di giocare, detti fine una volte per tutte alla mia carriera da musicista e mi concentrai con anima e cuore sull’unica cosa che mi veniva davvero male, ma che a quanto pare rendeva felici le persone che avevo intorno: il disegno.

La felicità era nelle piccole cose. Piccole e brutte.

Facevo disegni bruttissimi per tutte le persone a cui volevo bene ed erano tutti così felici di ricevere le mie opere in regalo che mi facevano sempre moltissimi complimenti. Arrivarono al punto di chiamarmi artista e maestro.
Avevo raggiunto il livello più alto di professionismo, la mia carriera era avviata, ma non mi sentivo soddisfatto.

Terminate anche le scuole medie con risultati abbastanza mediocri, decisi di investire su di me e sulla mia crescita personale iscrivendomi al corso di Grafica Pubblicitaria e Fotografia in una delle scuole superiori più blasonate della Brianza dell’epoca.

Mentre tutti i miei compagni si iscrivevano alle superiori in gruppi più o meno ampi, io solo soletto me ne andai a una quindicina di chilometri senza mai guardarmi alle spalle, spedito come un treno, fino a quando non andai a sbattere contro un lampione alla fermata del Bus.

Questo nuovo mondo era meraviglioso.
Non ero più un bambino bellissimo perché si sà, l’adolescenza gioca brutti scherzi anche ai migliori, ma ero finalmente circondato da circa 800 coetanei che avevano una visione del mondo molto simile alla mia, ma soprattutto eravamo uniti.
800 adolescenti uniti e coesi contro i docenti. Eravamo inarrestabili.

E fu così che capii due cose:

  1. Il disegno non mi piaceva poi così tanto, forse perché avevo scoperto che con un computer mediocre, Photoshop, Illustrator e uno scanner a 150dpi potevi fare magie.
  2. Non avevo rinunciato alla mia carriera da chitarrista perchè non mi piacesse o perchè non fossi capace, ma perchè avevo trovato una cosa esponenzialmente più figa.

Mi hanno preso a calci nel sedere

E come tutte le cose, anche le più belle, prima o poi finiscono e ancora una volta dovetti fare i conti con me stesso e dare una svolta alla mia gloriosa vita. Ancora una volta mollai tutto e mi spostai nella city: Milano Milano.
Ero completamente nel panico, non sapevo neanche come fosse fatta una metropolitana.

Grazie al cielo quella volta non ero solo. Avevo un amico temerario e dal cuore impavido che mi prese per mano e mi ci portò a calci nel sedere. Ovviamente non ci rivolgiamo più la parola.
Il triennio di Accademia di Belle Arti ad indirizzo Comunicazione Visiva Multimediale, nella ridente Milano Milano ancora inconsapevole che di lì a poco sarebbe stata la sede di EXPO 2015, ebbe inizio ed io ero gasatissimo.

Durante gli studi, ma anche per i successivi tre anni, ero il re dell’Accademia, ricordo che avevo una parete in Aula Magna con alcune delle mie stampe appese. È stato strano lavorare in quell’accademia 3 anni più tardi, e vedere quelle stampe ancora lì.
Era una scuola paritaria, non eravamo moltissimi a frequentarla, ma tutti mi conoscevano e soprattuto stavo simpatico a chiunque anche ai docenti (tranne alla prof. di arte a cui non andavo tanto a genio).
Ero un punto di riferimento per tutti, grandi e piccini.
Con tutta quella popolarità e con la sicurezza che solo un ventenne può avere, feci le migliori esperienze della mia vita. Ancora migliori della mia prima sbronza e degli anni trascorsi alle superiori.

Ho rapito la mia relatrice di tesi

Eravamo completamente matti, sprezzanti del pericolo e senza alcun freno inibitore.
In quel periodo fermai la docente di Disegno sulle scale durante un intervallo tra una lezione e l’altra e le chiesi se potessi iniziare a lavorare per lei. Io ero sdraiato sulle scale come i migliori clochard insegnano, e lei stava per calpestarmi scendendo veloce verso la segreteria: quel posto magico in cui tutti andavano speranzosi di ottenere risposte, ma in cui trovavi solo altre domande.
Insomma la vidi, mi alzai frettolosamente inciampando su me stesso e le urlai: “salve prof! Vorrei lavorare per lei! Non è che le serve un assistente?”. Mi guardò, fece un sorriso e mi diede appuntamento nel suo studio qualche giorno più tardi. Ho lavorato per lei dal 2011 al 2016 e abbiamo anche convissuto per quasi un anno, ma questa è un’altra storia…

Ti stai forse chiedendo se il titolo di questo paragrafo è stato solo un modo bislacco di catturare la tua attenzione? Forse un pochino. In effetti non l’ho rapita, era consenziente, ma è comunque una storia entusiasmante!

Chi mi conosce, sa benissimo che non amo guidare.
Come dicevo ho frequentato l’Accademia di Belle Arti ad indirizzo Comunicazione Visiva Multimediale e la materia principale era regia. Tra le varie cose da fare per quel corso, dovevamo realizzare un cortometraggio all’anno, ci dividevamo in 3 o 4 gruppi e ogni gruppo lavorava ad un progetto.

Nel corto realizzato al primo anno ho trasformato il corridoio principale, e i sotterranei dell’Accademia in un manicomio e ho gentilmente costretto i miei compagni a scegliere se recitare come medici o come pazienti.

Per il cortometraggio realizzato al secondo anno volevo fare le cose in grande. Avevo sviluppato la storia precedentemente raccontata e avevo avuto la malsana idea di ambientare una scena al mare, d’inverno.
La mitica Robi, docente di regia, mia relatrice di tesi, punto di riferimento e grande amica, era così esaltata che mi ha proposto di andare tutti a Cattolica a casa di sua nipote e girare lì quella scena.
Così ci siamo ritrovati sotto casa sua io e altri 3 dei miei compagni di corso a gennaio 2012 (o forse era aprile, non ricordo) nel mezzo di una nevicata illegale, con la macchina di suo marito e l’attrezzatura gentilmente prestata dall’Accademia.
I miei compagni seduti dietro, la Robi lato passeggero e io alla guida.
Ho guidato da Milano a Cattolica la macchina del marito della mia prof. con a bordo 4 innocenti e qualche migliaio di euro di attrezzatura.
Fortunatamente anche quel 30 e Lode era assicurato, ma per l’anno seguente ho preferito lavorare in solitaria lasciando che un mio caro amico dell’epoca si accaparrasse tutta la forza lavoro.

Questo è un breve recap della mia storia, forse avrei dovuto anche dire di come ho fatto a laurearmi con 110, pur non avendo i crediti necessari…

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